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Tra masi e stelle
Qui si mangia bene. E non si fa solo per dire: è la verità.
Dal ristorante stellato alla locanda contadina, a Bressanone e nei dintorni fiorisce una cucina affascinante, che apprezza la tradizione e sperimenta le novità.
Il 2006 volgeva quasi al termine e l’inverno tardava ancora ad arrivare – fuori faceva ancora caldo come in estate inoltrata – quando MARTIN OBERMARZONER ricevette la sua prima stella. Ben presto tutta la sua città natale di Chiusa ne fu al corrente, soltanto lui non ne sapeva nulla. Gli arrivò un messaggio sul cellulare: “Congratulazioni di cuore”. Il giovane cuoco non capiva: il suo compleanno sarebbe stato di lì a qualche giorno. Quando suo padre rincasò un po’ arrabbiato, Martin iniziò a sospettare. Suo padre sbraitava: perché non gli
aveva raccontato nulla della stella? Era stato dal sindaco – doveva chiarire una cosa riguardo ai vigili del fuoco – e tutta la città si era congratulata con lui. Solo allora il figlio aprì il quotidiano… e lesse della sua stella.
Sin da piccolo Martin Obermarzoner giocava con le pentole nella cucina dell’albergo dei genitori, l’hotel Bischofhof a Chiusa: direttamente sul pendio, con vista sull’idillica cittadina e sul onastero di Sabiona illuminato dal sole. Voleva diventare cuoco, già allora. “Non pensai mai a qualcos’altro”, dice oggi e ordina ancora un caffè, il terzo della giornata. Sono le dieci del mattino. Girò il mondo, imparò dagli chef stellati e si fece una promessa:
lo diventerò anch’io. “Da allora le stelle sono state il mio obiettivo. Se ci si pone degli obiettivi, tanto vale posizionarli in alto, giusto?” Ancora un sorso di caffè. Nel 2011 arrivò la seconda stella.
Entra in cucina. Accende la radio. Oggi Martin Obermarzoner, assieme alla moglie Marlis, gestisce l’albergo che è di famiglia da tre generazioni, a cui si aggiunge il suo piccolo ma elegante ristorante gourmet, dal nome Jasmin. Cinque, sei tavoli. Altissima arte culinaria.
Di solito in cucina fa tutto da solo. Dice che il gesto di spuntare gli spinaci sia la sua meditazione.
Raccoglie le erbe aromatiche e le verdure nell’orto, le prugne e le cotogne sono degli alberi dietro casa. Passeggia nel bosco con sua moglie e il cane Knuddel alla ricerca di pigne d’abete. Si mette ai fornelli. Prepara con destrezza un’insalatina di verdure
invernali, con sella di maiale iberico Pata Negra, accompagnata da erbette, crescione e fiori. Poi impiatta un risotto con burro di germogli d’abete e gamberi rossi. Nel suo ristorante Jasmin a Chiusa, due stelle Michelin, Martin Obermarzoner incanta i propri ospiti con un’arte culinaria ai massimi livelli. Ma l’Alto Adige si esprime con una cucina eccellente anche in tutta l’ampia varietà della sua ristorazione, dalla cucina gourmet alla stube contadina, riuscendo ad appagare il gusto di tutti. La provincia più settentrionale d’Italia ha vissuto negli ultimi decenni un’impressionante evoluzione gastronomica.
Eppure, un tempo era tutto molto diverso. Questa piccola terra tra le montagne offriva soprattutto una robusta cucina contadina. L’Alto Adige era territorio di piatti poveri, in cui non si mangiava molto altro che patate e canederli. Tempi passati! Ormai si sono amalgamate tra loro la cucina mediterranea, quella asburgica, contadina e alpina. Una nuova generazione di cuochi, giovane e cosmopolita, ha riscoperto i sapori tirolesi, ha imparato a celebrare la bontà della cucina semplice, le ha regalato variazioni e l’ha arricchita di emozionanti influenze, anche internazionali.
“Il lavoro del cuoco mi ha sempre affascinato”, dice mentre gli brillano gli occhi, “perché è creativo e appassionante.”
Paul Huber
Cuochi, ad esempio, come ALEXANDER THALER del ristorante Sunnegg sopra Bressanone. Il “sole” nel nome del locale non è a caso: i suoi raggi splendono intensi sulla terrazza, proprio dove Thaler sta pulendo i tavoli. La vista spazia fino alla città vescovile più in basso e all’Abbazia di Novacella. Un fico allarga orgoglioso i suoi rami e mostra i fritti maturi. Come Obermarzoner, anche Thaler rappresenta la terza generazione: gestisce il ristorante fondato dal nonno negli anni cinquanta. E anche Thaler ha viaggiato molto. A un certo punto qualcosa lo ha riportato a casa, come succede a tanti altoatesini sparsi per il mondo. E ha voluto mettere in pratica ciò che ha assimilato dell’arte gastronomica internazionale. Il Sunnegg è circondato dai vigneti e dal bosco, in cucina sale il vapore, odori delicati si mescolano. Alla radio si sente cantare Lenny Kravitz. Canta pure Thaler, mentre taglia la cipolla. Sta preparando una classicissima tartare di giovane manzo locale, con burro e pane tostato. I clienti arrivano da ogni dove per assaggiarla, altoatesini e turisti. “Cucina buona e sincera e luoghi della tradizione: adoro questa combinazione”, dice il giovane chef, mentre controlla ancora una volta che i tavoli della stube siano apparecchiati alla perfezione. La sala da pranzo è rivestita con le vecchie assi di un fienile, ci sono stufe di maiolica e anche foto in bianco e nero dei nonni e dei bisnonni. Nella sua piccola cantina Thaler vinifica in proprio Sylvaner, Kerner e Zweigelt, vitigni tipici della Valle Isarco. Thaler e il suo ristorante fanno parte dell’iniziativa “Locanda sudtirolese”: 34 locande a conduzione familiare che si dedicano alla cura e alla riscoperta della cucina tradizionale, utilizzando prodotti locali e stagionali. Thaler coltiva un proprio orto di erbe aromatiche, zucchine, pomodori e tanti altri ortaggi. La carne proviene dall’Alto Adige, da macellai locali.
Come tanti suoi colleghi si procura altri prodotti nei dintorni, ad esempio dall’orticoltura del maso Aspinger a Barbiano, che coltiva più di 500 varietà antiche di frutta e verdura. “Non devo cucinare il canguro e non mi serve il vino della Nuova Zelanda”, dice Thaler, mentre serve la tartare, “prestiamo attenzione ai circuiti regionali, alla cucina stagionale”. Thaler e tanti altri suoi colleghi chef costruiscono la loro cucina partendo da approcci nuovi ma non intendono inventare un nuovo mondo culinario. Vogliono cucinare come un tempo, facendo però attenzione a un adeguato mix di tradizione e modernità: per non dimenticare il buono del passato e non negarsi al nuovo. Questo fu l’obiettivo che si prefisse PAUL HUBER, quando decise di continuare a condurre l’osteria contadina – Buschenschank, in tedesco – dei suoi genitori. “Non fu una decisione facile, sapevo che avrebbe comportato tantissimo lavoro”, racconta seduto nella stube antica di 250 anni del suo Griesserhof a Varna, mentre ci versa un calice di Sylvaner di produzione propria.
“Sapevo però che se avessi deciso di farlo, lo avrei fatto come si deve.” I Buschenschank sono delle locande contadine con attività di ristorazione, offrono soprattutto specialità di produzione propria. “La stube è il centro attorno a cui ruota, da sempre, la vita delle famiglie contadine”, dice Huber. Quante cose ha già vissuto questa sala da pranzo? E quante ancora ne vedrà? Al tavolo accanto una giovane coppia ordina Coca Cola. Il Cristo di legno intagliato osserva astioso dall’alto del crocifisso ad angolo. Huber sogghigna. “Coca non ne abbiamo”, risponde… e serve del succo d’uva fatto in casa. Il Griesserhof è citato per la prima volta in un documento del 1192. L'Oste ricorda che quand’era bambino accompagnava il nonno che con il carretto a mano scendeva fino a Bressanone per vendere pane, burro e speck. Negli anni ottanta ci fu un annacquamento della tradizione autunnale del Törggelen, tipica della Valle Isarco, e con ciò del concetto di Buschenschank. “Noi invece vogliamo tornare alle origini”, afferma Huber. Serve un piatto di Schlutzer, i tipici tortelli ripieni di spinaci. Si sciolgono in bocca, hanno il sapore che devono aver avuto in questo maso già cento anni fa e che si spera avranno anche fra altri cento anni. Ogni pietanza racconta la storia gastronomica di un microcosmo. E la giovane coppia del tavolo accanto ordina altri due succhi d’uva. Origini e futuro. Il ciclo perenne della cucina. A Chiusa si è fatta sera, il ristorante Jasmin si riempie. “In passato mi piaceva cucinare in maniera totalmente folle”, dice Martin Obermarzoner, agita la padella e ride. “Esuberanza giovanile. Oggi ho voglia di semplicità. Ma una cosa importante è rimasta: il piatto deve suscitare emozioni in chi lo assaggia.” Afferma e manda al tavolo dei primi ospiti “il saluto della cucina”. Il contenuto? Una piccola coppetta della più superba zuppa d’orzo.
Testo: Lenz Koppelstätter
Immagini: Caroline Renzler
Data di pubblicazione: 2019
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